"L'esercito non ha fatto quello che avevo chiesto": dagli schermi della tv il premier libanese Fuad Siniora esce allo scoperto. E attacca l'inerzia delle forze armate. Che si muovono ottenendo l'abbandono delle armi in città da parte di Hezbollah e l'inizio del ritiro dei miliziani dalle zone occidentali di Beirut occupate nei giorni scorsi. Ma il Partito di Dio ottiene come contropartita l'annullamento delle misure che prevedevano lo smantellamento della rete telefonica e la rimozione del direttore dell'aeroporto, ritenuto vicino agli sciiti, decisioni che avevano scatenato nei giorni scorsi la rivolta. Sembra così profilarsi una soluzione alla crisi che da giorni stringe il Libano in una morsa. Con il Paese insanguinato dagli scontri tra miliziani di Hezbollah e sostenitori del governo. Con un pesantissimo bilancio delle vittime: in tre giorni 27 persone hanno perso la vita e altre 86 sono rimaste ferite. In particolare sono almeno sei le vittime che si sono registrate durante un funerale sunnita. Davanti ai lutti Siniora attacca Hezbollah definendo i miliziani sciiti "golpisti". "Non abbiamo dichiarato e non dichiareremo guerra a Hezbollah ma non accettiamo la resa di interi quartieri e l'assassinio di civili innocenti. Non permetteremo il ritorno del potere del terrorismo" continua il premier. Che chiama in causa l'esercito, fino ad ora rimasto inerte: "Ho chiesto al comando di proteggere i libanesi. Cosa che invece ancora non ha fatto. Ora imponga la sicurezza nel paese". La risposta dei militari è tutt'altro che energica ma sembra avere risultati. L'esercito infatti chiede ai miliziani di lasciare le strade della capitale. Cosa che Hezbollah annuncia di voler fare "senza rinunciare alla disobbedienza".
Nel frattempo nuovi combattimenti si registrano ad Aley, 20 chilometri a Est di Beirut, mentre nella notte ci sono state sparatorie a Sidone, a Nabatieh e a Tripoli. E 14 persone sono rimaste uccise negli scontri nella città di Halba, nella regione settentrionale di Akkar. A sostegno del governo libanese sono intervenuti gli Stati Uniti: l'amministrazione Bush, ha riferito un portavoce della Casa Bianca da Crawford, in Texas, "si sta consultando con altri governi nella regione e con il Consiglio di sicurezza dell'Onu per studiare misure affinché quanti sono responsabili delle violenze in Libano ne rispondano". Non sono state indicate le misure allo studio che potrebbero riguardare anche Siria e Iran, gli alleati di Hezbollah che Washington ritiene corresponsabili delle violenze. Una riunione d'emergenza dei ventidue ministri degli Esteri della Lega araba è stata convocata per domani al Cairo.
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