venerdì 1 febbraio 2008

I want to understand




(original article of R. Fisk for The Independent here)

È stato l’esercito libanese a uccidere otto persone? Sembra che i soldati possano aver sparato a uno di loro per sbaglio. Ma visto che una delle vittime era l’ufficiale che legava la milizia Amal con l’esercito nazionale, sembra improbabile che i militari abbiano aperto il fuoco contro di lui. C’erano dei cecchini cristiani a est di Mar Mikael? Di certo, i soldati hanno sparato a dei cecchini nell’oscurità attorno alla chiesa maronita mentre i proiettili gli scoppiavano attorno.

Hizbollah (almeno cinque delle vittime sarebbero suoi sostenitori) ha rilasciato dichiarazioni che accusano l’esercito nazionale per aver "sparato in maniera indiscriminata sui dimostranti", facendo anche appello all’esercito perché "porti allo scoperto gli elementi criminali che hanno ucciso civili innocenti". Ma visto che la più ampia comunità rappresentata nell’esercito libanese è quella sciita, l’idea che abbiano sparato sui loro correligionari sembra un po’ forzata. Nelle turpi rivolte settarie di un anno fa, anche quando nelle strade sono apparsi uomini in armi, l’esercito non ha ucciso un solo libanese.

Dunque cosa ci insegnano queste nuove e spaventose violenze a Beirut? innanzitutto, la triste lezione è che ci sono centinaia di "civili" nelle strade attorno a Mar Mikael (sia cristiani che musulmani) che portano armi. Ognuno sa che gli abitanti di Beirut hanno conservato le loro armi della guerra civile.

Infatti, pochi giorni fa stavo tentando di ricordare se conoscessi qualcuno (a parte me) che non tenesse un fucile in casa; mi sono venute in mente solo quattro persone. Ma vederle nelle strade, con armi da fuoco in pugno, ci ha mostrato quanto siamo vicini all’orlo del vulcano. La seconda e forse più spiacevole lezione è che i violenti incidenti di Beirut si stanno intensificando. Una bomba ogni due mesi (una battaglia in strada ogni sei) può essere sostenibile.

Ma i libanesi avevano appena cremato i cinque morti della potente autobomba della scorsa settimana quando le vittime dei combattimenti di domenica subivano le abluzioni rituali e venivano preparate per la sepoltura. Il capitano Wissam Eid, il giovane ufficiale dell’esercito ucciso con l’autobomba della scorsa settimana – trapela adesso – era il massimo esperto delle autorità di sicurezza nel rintracciare le chiamate da telefono mobile. Oggi, il cellulare è il miglior amico dell’assassino (insieme al suo esplosivo e alla fedeltà dei suoi macabri compagni). Perciò l’uccisione di Eid ha costituito una battuta d’arresto da parte degli assassini del Libano.

Ieri la Lega araba se n’è venuta fuori con il suo ultimo appello per la pace in Libano, promettendo di mandare l’infinitamente disperante e annoiante segretario generale, Amr Mousa, di ritorno a Beirut per parlare a tutti i soliti sospetti. La realtà, naturalmente, è che la Lega è anche meno capace delle Nazioni Unite di portare la pace in Libano, e tutti sanno a Beirut che il generale Michel Sleiman, il capo dell’esercito libanese, sarebbe accettabile come presidente per tutte le parti del Paese.

Adesso siamo in attesa del 13esimo tentativo di eleggere il povero uomo, con tutti che pretendono che questo sia un problema libanese quando tutti quanti sanno che la violenza in questo paese proviene dal conflitto tuttora in corso tra Washington e Tehran. Questo è il destino del Libano.

(Traduzione di Carlo Miele per Osservatorio Iraq)

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