Ieri il nostro Ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, si e'recato in Libano per incontrare Siniora e Berri sulla questione libanese, e successivamente in visita al contingente italiano che conta 2500 unità all'interno dell'U.N.Interim Force in Lebanon (UNIFIL). Attualmente non credo l'Italia cerchi (o possa) di fare da paciere tra le parti in gioco, ma certo e'che grazie ai media respiriamo tutti i giorni la preoccupazione per i nostri soldati e ci chiediamo perche'li abbiamo in Libano, chi ce lo fa fare, perche'e'stata tanto criticata una missione "peace-keeper" in Iraq se poi mandiamo i nostri para'in un'altra "peace-keeper" in Medioriente....ché tanto si sa che peace-keeping e'sinonimo di guerra. Attualmente, per l'esperienza che ho avuto io "sul campo", posso dire che se rischi ci sono, ve ne sono piu'a Beirut - mi riferisco a disordini e possibilita'di tafferugli fra falangisti e HA, che non nel Sud, dove tutti sono impegnati piu'che altro nello sminamento delle cluster bombs (centinaia di migliaia...). Il rispetto delle popolazioni locali e'altissimo e non vi e'alcun rischio di scontro con hezbollah o altri. I media occidentali parlano di cellule di Al-Qaida nel Sud pronte a atti terroristici. Ma non accennano al fatto che il livello di allerta dei nostri soldati e'sempre rimasto sul "verde",anche quando a Beirut son cominciati i sit-in di fronte alla sede del Governo. D'Alema (o Dalemmah come "affettuosamente" ribattezzato dalla destra quando, a Luglio, si era fatto accompagnare da un ministro Hezbollah tra le rovine della periferia Sud di Beirut devastata dai bombardamenti israeliani) stesso si dichiara preoccupato di questi movimenti sotterranei di Al-Qaida in Libano, ma nessun cenno a riduzione della nostra presenza militare tra le fila UNIFIL che andremo a guidare a partire da feb2007, un incommensurabile riconoscimento del ruolo di primo piano assunto dall'Italia che ha levato la sua voce nel coro bofonchiante di vigliacchi e ipocriti silenzi della diplomazia internazionale tutta. Ne sono orgoglioso. Certo, anche se a mio avviso i rischi di attentati sono minimi, basterebbe 1 solo caduto tra i nostri militari a mettere a rischio la nostra permanenza in Libano e a far levare il coro dei "te l'avevo detto" tra i nostri connazionali che, ignari dell'effettiva situazione in Libano, straparlano secondo preconcetti e le solite errate equivalenze: hezbollah = hamas = talebani = kamikaze = terroristi = arabi = musulmani. E' questa ignoranza quella che a me fa piu'paura, piu'dello stesso terrorismo che, in se', non ha una definizione e ragion d'essere.
In Libano dobbiamo restare finche'il Paese non avra'superato l'empasse interno e rilanciato a partire dalle stesse condizioni precedenti la guerra di Luglio: un Libano di libanesi (inteso SENZA quello stato nello stato), una sola bandiera per tanti, per tutti, all'insegna del reciproco rispetto, un Paese che sapra'nuovamente farsi amare e fare innamorare.
Oggi ho letto con dispiacere una dichiarazione di Pierre Ashkar, capo della Federation of Tourism Syndicates, sul fatto che il Turismo e'il vero "martire" del Libano nel 2006: le prenotazioni degli hotels sono scese rispetto al 2005 dal 90% al 50% dopo la guerra e ora, dopo le minacce HA di invadere le strade e "bloccare" il paese sfiorano lo 0%. Per di piu'vi e'una proiezione secondo la quale nei prossimi 2 mesi 15000 impiegati nel settore Turismo verrano licenziati o decentrati all'estero. Meditiamo su queste cifre. Natale e' anche questo, Natale a Beirut
Natale a Milano
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